Il costo delle materie prime aggrava la crisi del comparto cavi
19 ottobre 2012. È una vera e propria emergenza quella che si trovano ad affrontare i produttori di fili per avvolgimento che fanno capo ad AICE, associazione aderente a Confindustria ANIE. Il comparto è costituito da aziende elettromeccaniche che producono fili metallici smaltati per motori elettrici, trasformatori e bobine con un fatturato globale di 700 milioni di euro. Già nei primi nove mesi del 2012, l’industria italiana dei cavi ha fatto registrare un calo su base annua del fatturato del mercato interno del 20%, in ragione dei più recenti aumenti dei prezzi dei materiali. Anche l’export ha già iniziato a registrare i primi rallentamenti.
“Nel corso dell’ultimo anno – segnala Stefano Bulletti, Presidente di AICE – i produttori di fili metallici, in particolare di rame smaltato, hanno subito degli aumenti significativi per ognuna delle principali voci di costo, aggravando così la situazione causata dalla contrazione del mercato nazionale, che si stima del 20% rispetto all’anno scorso”. “L’incremento del prezzo del petrolio ha condizionato – prosegue Bulletti – i trasporti che sono aumentati del 4%, e gli smalti per isolamento, principale materiale di acquisto, causandone un aumento medio del 3% in funzione della tipologia. Non e’ trascurabile inoltre l’incidenza della componente metallo, come ad esempio il rame, il cui valore negli ultimi anni e’ addirittura raddoppiato. Resta infine il problema del costo dell’energia elettrica, che ricopre un ruolo preponderante nel processo produttivo: in media nell’ultimo anno l’aumento e’ stato del 26%, in un contesto nazionale in cui il costo per KW/h e’ già ampiamente superiore alla media europea.” “I produttori sono quindi costretti ad incrementare – conclude Bulletti – le richieste di credito per finanziare il processo produttivo in un periodo difficile come l’attuale, in cui la stretta creditizia delle banche ha aumentato considerevolmente i tassi di interesse. L’impatto finale degli aumenti e’ stimabile in circa il 5%. È ragionevole pensare che le aziende non riescano ad assorbire questi aumenti, se non incrementando i prezzi di vendita.”